Focus Betting Sponsorship

18 aprile 2018 da sporteconomy.it

L’Inghilterra supera largamente l’Italia. E’ una considerazione puramente numerica sugli sponsor di maglia legati al betting in English Premier league e Serie A. In Inghilterra quasi una squadra su due è sponsorizzata da una sigla di scommesse (9 su 20, ovvero circa il 45%) in Italia nemmeno una (solo come retro o second sponsor, mai come principale). Un dato anomalo se si pensa che, in termini di volume di gioco, i due mercati fanno da punto di riferimento.

Non che in Italia i bookmaker non investano nel calcio per avere notorietà, ma la sponsorizzazione di maglia incontra sovente degli ostacoli “culturali”, nel senso che è percepita male dall’opinione pubblica. Emblematico è il caso di Genova, dove, nel 2014, entrambe le formazioni di calcio, il Genoa e la Samp, erano sponsorizzate da sigle del gaming. Furono, però, convocate dall’amministrazione comunale, ricevendo un invito a «cercare altri sponsor di maglia» per dare un segnale nella lotta al gioco patologico, che la stessa municipalità aveva intrapreso un anno prima, varando un regolamento per limitare e prevenire il fenomeno. Nel testo, tra l’altro, era previsto anche il divieto di pubblicità alle attività di gioco. Il risultato fu che, alla fine della stagione, gli sponsor legati alle scommesse sparirono da entrambe le maglie.

Diametralmente opposta, invece, la situazione in Premier League, dove, nel corso degli anni, si è assistito a un “rush” che ha portato alla situazione attuale. Lo spiega, in una ricostruzione pubblicata sul sito SbcNews, il giornalista esperto di gambling Scott Longley. Tutto iniziò nella stagione 2002/2003, quando il Fulham firmò un accordo con il leader del betting exchange Betfair «la prima sigla di scommesse in assoluto ad arrivare sulla maglia di una squadra di calcio», afferma Longley. Poi fu il turno di Middlesbrough, Blackburn, Aston Villa e Tottenham. Gli Spurs, nel 2008, chiusero un accordo record con Bwin, da 16 milioni di euro all’anno. Il vero punto di rottura arrivò in quella stessa stagione con la partnership tra il West Ham e la sigla asiatica SBOBET. L’intesa non aveva una particolare rilevanza in termini economici, ma fu un capolavoro di strategia nella diffusione del marchio. «In Asia è particolarmente difficile far conoscere un marchio di scommesse – spiega Longley riportando il parere di Harry Lang, fondatore dell’agenzia di brand-building e marketing integrato Brand Architects – l’intuizione giusta è stata puntare sulle sponsorizzazioni di maglia.

La Premier League è seguitissima in Cina e negli altri Paesi orientali, così come sono diffusissime le scommesse sulle partite del campionato inglese. Chiudere quell’accordo ha significato portare il proprio marchio davanti agli occhi di milioni di persone». Le sirene delle sponsorizzazioni asiatiche, ad ogni modo, hanno conquistato anche l’Italia, anche se il processo è stato inverso. Sono state le squadre a intravedere in partnership del genere la possibilità di fare breccia nell’audience orientale, diffondendo il proprio marchio a Est e incassando da diritti d’immagine e merchandising. È il caso, per esempio, di Juventus e Milan, che, nella stagione in corso, hanno siglato accordi con le sigle F66 e Vwin. Non si tratta, logicamente, di sponsorizzazioni di maglia, ma di intese secondo cui le due compagnie sono diventate partner regionali, accaparrandosi la possibilità di sfruttare il brand e dell’immagine delle due squadre per promuovere i propri servizi in Asia.