Sponsorship, 28 Gennaio 2019 da Sporteconomy.it

di Marcel Vulpis*

E’ il nuovo El Dorado del mercato calcistico. Da meno di un biennio vi scommettono non solo i club della Premier league inglese e della Bundesliga tedesca, ma, adesso, anche diversi club della serie A italiana. Tecnicamente si chiamano “sleeve sponsor” (partner di manica) e in Germania hanno registrato un forte successo, nel tradizionale incontro tra domanda e offerta. Tutte le società della massima divisione tedesca (il 100% del mercato), hanno sfruttato, almeno per una stagione, questa nuova opportunità commerciale. Abitualmente le società stringono rapporti anche pluriennali, così da garantire a queste aziende una visibilità più elevata sulla divisa di gioco. In Bundesliga e Premier League il rapporto è di 1 a 5, per ogni euro investito nell’inedito format. In Italia, invece, sono appena sei su 20 le squadre che hanno testato lo sleeve sponsor (la Lega serie A ha autorizzato questa opportunità soltanto lo scorso agosto 2018). In totale questi tre campionati hanno intercettato 43 contratti (18 su 18 per la Bundesliga; 19 su 20 per la Premiership e appunto sei per la prima divisione tricolore), con marchi di pneumatici, betting partner e servizi online a dominare rispetto ad altre categorie potenziali.
La serie A a caccia di nuovi ricavi
L’Atalanta, per esempio, si è legata al marchio bergamasco Automha (sistemi di magazzini automatici), l’Empoli ad un brand vinicolo (Tenute Piccini), la Fiorentina a NGM (produttore di telefonia mobile), la Spal a Pentaferte (dispositivi medicali), il Torino a n.38 Wuber (alimentare). Il Cagliari, infine, ha firmato un contratto di due giornate con l’azienda chimica sarda Fluorsid (con l’impianto a Macchiareddu-Grogastu). Negli ultimi giorni, proprio Tuttosport, ha evidenziato il lavoro commerciale della Juventus, interessata ad un partner di profilo internazionale per questa tipologia di contratto (un’operazione stimata in area 9 milioni di euro annui), così come anche la Roma è in stretto contatto con l’ufficio di Londra, dove vi sono diverse proposte per un valore non inferiore ai 3 milioni a stagione.
Solo sfruttando almeno tre format (main, retro e sponsor di manica) su quattro (resterebbe fuori soltanto il second partner) alcuni top club possono provare, come nel caso dei campioni d’Italia, a superare i 35 milioni di euro di introiti sponsorizzativi. Una cifra mai raccolta, in Italia, neppure ai tempi della Juve pre-Calciopoli (quando i bianconeri, con il marchio petrolifero Tamoil, superavano i 27 milioni di euro a stagione). Certamente, di fronte a queste opportunità commerciali, il rischio che i fan possano iniziare a criticare l’idea di una maglia con caratteristiche troppo spinte di business è alto. E’ anche vero che queste nuove forme di ricavi sono essenziali per la sostenibilità economica dei club (medio-piccoli) o per continuare a sognare nel caso dei top team.
Liberalizzazione nel calcio spagnolo
Il football iberico, negli ultimi anni, ha “liberalizzato” gli spazi sulle divise, per aiutare soprattutto i club piccoli e medi (schiacciati da una crisi economica endemica). Sul fronte maglia è possibile vendere un marchio per 220 cm², così come sulla parte retro (ma solo sotto il numero di gioco). Ulteriori spazi sono previsti sulle maniche (110 cm²), sul fronte calzoncini (120 cm²), in entrambi i casi sulla parte sinistra della divisa, e, infine, sul retro (220 cm²). Unica eccezione è prevista per i «partner istituzionali» (marchi degli enti locali), che possono utilizzare spazi in eccedenza rispetto a quelli degli sponsor commerciali.