Marketing, 12 Gennaio 2019 da Sporteconomy.it

Negli ultimi anni il Qatar è stato il simbolo di un nuovo modo di investire nello sport, ovvero pubblicizzare un intero Paese come se fosse un brand. Nella sua “2030 National Vision” (progetto di sviluppo a tutto tondo della nazione araba) e nella relativa strategia di applicazione, lo sport è esplicitamente menzionato come una leva per raggiungere diversi obiettivi, specialmente per generare benefici economici oltre che socio-culturali (con forte attenzione alla brand reputation internazionale).
In quest’ottica vanno inquadrati, oltre gli investimenti fatti recentemente con il Paris Saint Germain, l’acquisto di Neymar Jr (calciatore di riferimento del club parigino), e, soprattutto, l’organizzazione della Coppa del Mondo del 2022. Così come le sponsorizzazioni di Barcellona (fino a poche stagioni fa) e Bayern Monaco tramite Qatar Airways e quelle di Real Madrid e Arsenal attraverso la società Ooredoo Algeria (nel 2015-16). Gli investimenti del Qatar non si sono limitati al football (l’ultimo in ordine di tempo con la maglia della Roma per 13 milioni di euro annui): basti pensare, per esempio, ai gran premi di Formula Uno e MotoGP e ai Mondiali di ciclismo ospitati nel 2016.
L’idea della sponsorizzazione come strumento di “soft power” (letteralmente “potere dolce”) può essere definita come una relazione contrattuale verso l’esterno, tra un’entità statale ed una proprietà finalizzata a promuovere l’attrattività di un Paese, la sua cultura e le sue politiche, con l’intenzione di modificare gli atteggiamenti ed i comportamenti del pubblico di riferimento dell’ente e/o del Paese con cui è associato.
Non è solo il Qatar ad avvalersi di sponsorizzazioni modello soft power: anche Azerbaijan, negli anni passati con l’Atletico Madrid (ne ha sponsorizzato la divisa di gara), e Russia, con la Champions League (tramite Gazprom) e il Manchester United (attraverso il vettore Aeroflot), si stanno avvalendo di questo strumento per modificare la percezione del loro Paese nel mondo.